Dimenticare Humphrey

Lo sapevo già, ancor prima di arrivare a Casablanca: l’Humphrey Bogart di celluloide non abita più qui. Ed è inutile cercarlo anche al Rick’s Club, il mitico pianobar del film, ricostruito per la gioia dei nostalgici. L’importante è invece lasciarsi catturare da questa città atlantica. Chi ci abita la giudica invivibile, caotica, rumorosa, arretrata, inquinata. Io l’ho trovata magnifica. Eccitante. Inebriante. Una distesa di case bianche, fra cui passeggi e all’improvviso scopri un palazzo Art Déco, elegante anche se sbertucciato. Imbocchi uno dei boulevards bordati da edifici tutti marmi e cristalli, e intanto ti godi come allusioni tropicali i filari di palme altissime e ficus giganti. Il traffico, incessante e compatto fino alle ore piccole, spara a raffica una sinfonia di clacson che è musica per le mie orecchie. Incredibile. Non sono io quella che normalmente starnazza al rombo di una moto? Qui tutto mi sembra stupendamente vivo, spontaneo, festoso. Assisto, frastornata ma beata, a ingorghi pazzeschi dove Ape a tre ruote trasportano di tutto, sacchi di cemento o uova, pagnotte o passeggeri. E sbarrano il passo ai Grands Taxis, una flotta di Mercedes bianche, e ai Petits Taxis collettivi, piccole Renault rosse che sgattaiolano nel traffico, dove non sono infrequenti i Suv guidati da bionde ingioiellate. Mi fermo a riempirmi gli occhi con i contrasti di questa folla variegata: donne velate da mille colori e ragazze in jeans, tacchi alti e foulard, che fanno la coda da Amoud, il pasticcere più celebre del Nordafrica; il lustrascarpe in jellabah che si accontenta di una monetina e giovanotti bruni che fumano disinvolti, in perfetti abiti scuri, sgommando a bordo delle loro Porsche; caffè all’antica e gallerie d’arte dove si consumano i vernissage dell’alta società. Poi, giro le spalle al lusso. Mi immergo con piacere nella vecchia Medina dal recinto porticato, tra voci e intensi afrori levantini. E al tramonto vado a godermi lo specchio di mare fra la Grande Moschea e il faro bianco di El Hank, che spara il suo raggio verde mentre si accendono le lampare.

© Maria Luisa Bonacchi / MOSAIC